[Mio capitano #23] Costruire ponti
Come superare le barriere e gestire il disagio emotivo dei ragazzi
Ci sono ragazzi che ci mettono a dura prova in classe.
È come se fossero altrove.
Hanno sguardi distanti o spenti.
Tu sei lì che cerchi di trasmettere la tua passione, che poni domande delicate per spingerli a scavare dentro se stessi o riflettere su temi controversi, provi a coinvolgerli in attività creative, ma niente: sguardi assenti, inerti, apatici.
La prima reazione istintiva è l’irritazione. È umano.
Ma il fatto è che a volte i ragazzi non ce la fanno proprio. A stare attenti, a impegnarsi, a partecipare alle attività in classe. Non è (necessariamente) pigrizia o disinteresse, ma qualcosa di più profondo.
È come se ci fosse una barriera che impedisce loro di connettersi, mentalmente ed emotivamente.
Spesso, le difficoltà scolastiche nascondono disagi molto più grandi e profondi: non è nostro compito, come insegnanti, curarli, ma quanto meno riconoscerli.
Così possiamo, da un lato, cercare di attivare emozioni positive che facciano da “benzina” per l’apprendimento e, dall’altro, coinvolgere gli opportuni canali esterni (famiglia, psicologi, servizi sociali) per aiutarli ad affrontare questi disagi.
Il primo passo è andare oltre l’irritazione e cercare un ponte, una lingua comune con cui raggiungerli in qualche modo, al di là della barriera, e attivare il “rispecchiamento emotivo”.
“Se parli a qualcuno in una lingua che comprende, parli alla sua testa.
Se gli parli nella sua madrelingua, parli direttamente al cuore”, diceva Mandela.
Qualche tempo fa ho applicato questo principio alla lettera, con una ragazzina che ha spesso l’aria spersa e grandi difficoltà scolastiche.
Ho creato uno spazio per parlarle in tranquillità, lontano dalla classe.
Inizialmente non si è tanto sbottonata, parlava a monosillabi, diceva di stare bene, ma il corpo e l’espressione comunicavano debolezza e disagio.
Ho cominciato a parlarle in spagnolo (la sua madrelingua).
Sono bastate poche frasi e ha iniziato a parlare a ruota libera.
Sono arrivate anche le lacrime, copiose e liberatorie, insieme a parole che comunicavano un disagio e una tristezza che arrivano da lontano, radicate nella sua storia personale.
L’ho ascoltata, con calma.
Le ho detto che era normale che si sentisse così, che succede a volte di sentirsi un peso sul petto (come si sentiva lei) e avere paura di non farcela.
L’ho abbracciata e le ho detto che in lei ci sono risorse che non sa di avere.
È stato solo un piccolo passo. Gli interventi con lei sono molteplici, c’è una rete di specialisti che la aiuta. Ma quel momento di connessione autentica ha creato un piccolo varco nella barriera.
Nelle ultime settimane di scuola, qualche piccolo successo sta arrivando: un compito che va bene, un piccolo contributo a un’attività di gruppo, uno sguardo a volte più vigile.
Sono piccole cose, ma raccontano di un percorso che inizia. Non sempre riusciremo a vedere i frutti completi del nostro lavoro, ma questi piccoli segnali ci dicono che stiamo andando nella direzione giusta. Ogni passo conta, ogni connessione autentica può essere l’inizio di un cambiamento. Il nostro compito non è risolvere tutti i problemi, ma creare spazi sicuri dove questi ragazzi possano sentirsi visti, ascoltati e accompagnati nel loro percorso di crescita.
Spark ✨
Sul tema di come gestire disturbi e disagi emotivi in classe, segnalo l’utilissima guida della psicoterapeuta Francesca Mencaroni, Disturbi emotivi - Cosa fare (e non).
Perché mi piace:
Carattere pratico e concreto: ogni capitolo parte dal comportamento osservabile nel ragazzo (es. “ha attacchi d’ansia, lamenta spesso mal di pancia, litiga spesso con i compagni”) e lo riconduce a un disagio o disturbo specifico (che può ricadere nelle tre categorie di “paura e ansia”, “rabbia e collera” o “tristezza e depressione”);
Indicazioni chiare e immediate: per ogni disturbo analizzato, fornisce indicazioni pratiche su cosa fare e cosa non fare in classe;
Strumenti concreti: include approfondimenti e attività pratiche per potenziare le competenze socio-affettive (es. educare ai limiti, favorire l'autostima ecc.).
Il libro fa parte della serie Erickson “Cosa fare e non”, che consiglio di esplorare perché tratta varie tematiche (es. autismo, plusdotazione, DOP) per vari gradi di scuola, sempre con questo taglio concreto e pratico e una grafica molto efficace, come si vede dalle foto (vignette, parti sottolineate a colori per evidenziare passaggi chiave).


Laboratorio 🎨
Un esempio di attività suggerita da Francesca Mencaroni per favorire l’autostima è il “gioco delle qualità”.
Questa attività permette ai ragazzi di riconoscere le proprie qualità e quelle degli altri, creando un clima di valorizzazione reciproca che può essere particolarmente benefico per chi soffre di bassa autostima o si sente invisibile nel gruppo classe.
L’esercizio non solo rafforza l’immagine di sé dei ragazzi più fragili, ma insegna a tutto il gruppo l’importanza di guardare oltre le apparenze e riconoscere il valore di ciascuno.
Grazie...buongiorno