[Mio capitano #15] Perfetti o divergenti?
Dalla paura dell’errore alla gioia di sperimentare
Pochi giorni fa, insieme a mio figlio di 10 anni, ho ascoltato un webinar di Enrico Galiano che presentava il suo nuovo libro, L’incredibile avventura di un super-errore.
Il tema era quanto mai appropriato perché, come il protagonista del libro, anche mio figlio (e penso, molti di noi) teme gli errori come la peste, mentre Galiano invita a considerarli in una prospettiva diversa.
In particolare, ci ha offerto due bellissimi spunti di riflessione linguistica che ritengo possano aiutare tutti i perfezionisti (o aspiranti tali) a liberarsi dal peso costante della paura di sbagliare.
Il primo spunto parte dal significato della parola “errore”, che deriva da “errare” (inteso come “vagare”) e contiene dunque, etimologicamente, l’idea di esplorazione, di ricerca. L’errore è quindi intrinsecamente legato alla “serendipità” (la capacità di fare scoperte felici per caso), ovvero al cercare qualcosa e trovare qualcos’altro. ”Non tutti gli errori sono sbagli”, dice Galiano. Dagli errori, dai percorsi divergenti, nascono spesso nuove strade e scoperte fortuite, come la penicillina da una coltura inavvertitamente contaminata o il post-it da una colla troppo “debole”.
Il secondo spunto viene dal giapponese. La parola “oya” 親 è composta da tre ideogrammi: “albero”, “guardare” e “stare in piedi”. Nel suo significato letterale, quindi, indica “guardare stando in piedi sull’albero”.
Chi è la persona che sta (o almeno dovrebbe) stare a guardare dall’albero?
Il genitore, e questa è infatti la traduzione della parola. Ma la sua composizione suggerisce un significato più profondo sul ruolo dei genitori: quello di chi osserva da lontano, mantenendo la giusta distanza.
Come si integrano questi due spunti?
Nell’idea che il nostro ruolo di educatori è di creare uno spazio sicuro per l’esplorazione. Stare sull’albero significa intervenire solo quando è davvero necessario, lasciando ai ragazzi la libertà di “errare” nel duplice senso: vagare ed equivocare.
Una cosa difficilissima, soprattutto per noi genitori che vorremmo sempre proteggere i nostri figli. Ma esiste un terreno privilegiato in cui è possibile permettere questa esplorazione senza conseguenze troppo gravi: la scuola.
La scuola dovrebbe “prepararci a sbagliare”, diceva Ken Robinson, per metterci in condizione di creare cose nuove e originali. Se non siamo pronti a sperimentare (accettando l’idea di sbagliare e cambiare strada), non creeremo mai nulla, resteremo sempre fermi.
Come possiamo quindi educare i ragazzi a non temere l’errore e a “errare” consapevolmente per crescere?
Da genitori:
Rimaniamo “sull’albero”: evitiamo di intervenire ogni volta che i nostri figli incontrano una difficoltà e lasciamo che le affrontino autonomamente, anche se può sembrare difficile. Questo li aiuterà a sviluppare resilienza e a capire che le difficoltà sono parte della vita.
Normalizziamo le difficoltà: accoglierle come normali e inevitabili aiuta i ragazzi a non sentirsi “sbagliati” quando incontrano un ostacolo.
Evitiamo i confronti con altri bambini o ragazzi, che generano solo ansia e frustrazione e possono bloccare il loro desiderio di sperimentare.
Condividiamo i nostri errori: raccontiamo storie di “errori felici” che ci hanno aperto nuove possibilità.
Da insegnanti:
Promuoviamo la collaborazione attraverso attività cooperative e laboratoriali in cui si valorizza il processo più che il risultato. L’approccio sperimentale di cui abbiamo parlato la scorsa settimana è fondamentale in questo senso.
Feedback costruttivo: la valutazione ha un ruolo fondamentale e va usata in chiave formativa, non punitiva. Quando diamo un feedback su prove, verifiche e attività didattiche, valorizziamo i punti di forza e suggeriamo cosa migliorare con delicatezza e sensibilità. L’obiettivo non è sanzionare o umiliare, ma indirizzare e aiutare a “errare” con serenità, per imparare dagli errori senza sentirsi sminuiti.
Favoriamo l’autovalutazione attraverso checklist e rubriche come quella che trovi nella sezione Laboratorio👇.
Trasformiamo il linguaggio per alimentare il growth mindset, cioè l’idea che le nostre capacità sono in evoluzione e possono sempre migliorare: quando un ragazzo dice “non lo so fare”, rispondiamo “non lo sai fare ancora” oppure suggeriamogli di chiedersi “come posso fare?”
In questo modo, possiamo aiutare i ragazzi ad avere il coraggio di “divergere” come i protagonisti del libro di Galiano, che si scontrano con la “banda dei perfetti” che vuole impedire al mondo di evolversi: in fondo, come diceva Jung, chi elude l’errore, elude la vita, cioè perde occasioni di crescita e di scoperta.
Weekly spark ✨
Tre “scintille” per approfondire il tema:
Sul potere del “non ancora” (e sulla possibilità di trasformare la mentalità modificando il linguaggio), il TED talk illuminante della dottoressa Carol Dweck (che ha sviluppato appunto il concetto di growth mindset):
The power of believing that you can improve.
Laboratorio 🎨
Condivido un esempio di scheda di autovalutazione per un compito autentico.
La scheda contiene una serie di indicatori per valutare il lavoro di gruppo e il contributo personale di ognuno. Per ogni indicatore, ci sono quattro livelli (non numerici) ai quali corrispondono descrizioni dettagliate, per aiutare i ragazzi a riflettere sia sulla qualità del prodotto, sia su come hanno lavorato alla realizzazione.
Una volta terminato il compito autentico, puoi distribuire la scheda ai gruppi e ogni gruppo procede all’autovalutazione per i vari indicatori (per quelli individuali, ogni membro del gruppo valuterà il proprio livello). Il passaggio finale sarà un confronto tra le loro valutazioni e le tue, per raggiungere una valutazione condivisa.
Questa scheda è pensata per un telegiornale storico, ma naturalmente si può personalizzare e adattare ad altri compiti autentici.
Puoi scaricarla a questo link.
Grazie Buona Domenica