Ho iniziato l’anno scolastico con un peso sul cuore.
Faccio fatica a entrare in classe e a fare finta che tutto sia normale.
Di fronte allo sterminio che sta avvenendo in mondovisione, il senso di colpa e di impotenza si intrecciano dolorosamente.
So che è una sensazione condivisa da tanti di noi: educatori, genitori, persone comuni che rifiutano l’indifferenza e il silenzio dei governi, oltre che la violenza inaccettabile che sta distruggendo una popolazione inerme.
Perciò non posso non parlarne.
È il modo che ho per “mitigare” quel senso di impotenza, per dare valore a quello in cui continuo a credere: il potere dell’educazione di incidere sulla realtà.
Ne sto parlando in tutte le mie classi: racconto della Global Sumud Flotilla e del movimento di “resistenza” (questo è il significato del termine arabo sumud) che sta crescendo attorno a essa in tante città del mondo tra piazze, assemblee, reti di scuole; dico che la popolazione di Gaza avrà uno spazio costante nelle nostre parole e attività in classe, perché non possiamo essere insensibili a ciò che accade attorno a noi.
I ragazzi ascoltano con apprensione, fanno domande, reagiscono a volte con rabbia, a volte con sgomento o incredulità. Si sentono schiacciati dalla violenza efferata che colpisce i loro coetanei, ma anche disorientati dalla nostra fatica a rassicurarli.
Per questo, mai come ora, credo serva ritrovare un senso di collettività e ricercare la possibilità di un’azione comune.
Come ricorda la giornalista Silvia Boccardi nel podcast Verso Gaza:
“Il senso della Flotilla non è solo marittimo, è anche politico e simbolico, è un atto collettivo che chiede una risposta collettiva. Le barche non navigano soltanto sulle onde, ma anche nello spazio pubblico: nei giornali, nelle piazze, nelle voci di chi le sostiene”.
La dimensione collettiva è cruciale: le barche (con l’aiuto che portano e la solidarietà globale che simboleggiano) avanzano non solo grazie al vento, ma anche alle voci che si levano in supporto.
Le spingiamo manifestando il dissenso, scendendo nelle piazze, bloccando porti e città.
Come educatori, possiamo essere parte di questa resistenza: parliamone con i colleghi, partecipiamo alle manifestazioni e alle iniziative collettive, uniamoci alle altre scuole impegnate a costruire la pace.
In classe, coinvolgiamo i ragazzi a partecipare attivamente:
realizziamo con loro campagne di sensibilizzazione e podcast;
guidiamoli a porsi domande, documentarsi e verificare le fonti;
dedichiamo spazi alle letture e alla condivisione di domande e riflessioni;
creiamo collezioni di risorse condivise sul tema;
invitiamoli a creare poster e disegni, a scrivere poesie e canzoni per infrangere il silenzio, suscitare domande e resistere alla barbarie.
Perché la scuola resta uno dei pochi luoghi in cui possiamo coltivare sensibilità e umanità.
Da dove possiamo cominciare, già domani?
Risorse utili
Su Gaza e Palestina, condivido alcune risorse utili raccolte e organizzate dalla collega Iaia Cantatore:
bibliografia organizzata in categorie (narrativa, saggistica, libri per ragazzi ecc.)